Gli animali che abitano rifugi e santuari sono “irrevocabilmente esclusi dalla produzione di latte e di carne”.

Era quello che stavamo aspettando da tanti anni e che onestamente non ci aspettavamo di vedere messo nero su bianco in così “breve” tempo: la traduzione in termini di legge di quella promessa che facciamo a tutti gli animali che aiutiamo a liberarsi dall’oppressione dell’industria zootecnica ed accogliamo in un luogo che ci impegniamo a rendere sicuro. Adesso anche il linguaggio burocratico sancisce quello che per noi era un dato di fatto indiscutibile, ma non ancora riconosciuto dalle istituzioni: gli animali che abitano rifugi e santuari sono “irrevocabilmente esclusi dalla produzione di latte e di carne”.

Ve ne avevamo parlato approfonditamente con la nostra campagna Legalize Freedom: in tutti questi anni siamo stati soggetti e abbiamo dovuto sopportare denominazioni e procedure che erano in profondo conflitto con la nostra missione, subendo la violenza di un pesante vuoto istituzionale che non riconosceva agli abitanti di rifugi e santuari  alcun diritto ad esistere al di fuori dell’ingranaggio produttivo.

Si tratta quindi di un cambiamento epocale che riteniamo doveroso ed indispensabile celebrare insieme a tutti i rifugi italiani, come momentum collettivo di un vissuto che non è mai lineare e che si definisce sempre in aperta contraddizione con il sistema dominante. 

Per questo abbiamo accolto con le lacrime agli occhi la definizione di “rifugio permanente” quale “attività di ricovero” piuttosto che luogo di “detenzione”, con la consapevolezza che si tratta di uno spartiacque importante, un significativo traguardo che abbracciamo nella sua complessità come nuovo punto di partenza per ulteriori  battaglie. 

Non possiamo fermarci qui!

La nostra campagna Legalize Freedom continua:
gli animali non sono numeri.

Una delle questioni più evidenti e discusse legate al riconoscimento giuridico dei santuari e rifugi è senza dubbio quella delle marche auricolari. 

Una volta ottenuta, sancita e regolamentata finalmente la fuoriuscita dalla filiera produttiva delle soggettività liberate e restituite finalmente all’improduttività, dovremmo occuparci di svincolarle dal simbolo che questa filiera appone sui loro corpi, marchiandoli come proprietà e mezzi di produzione.

Analizzare questo aspetto ci permette di evidenziare la fatica di lavorare costantemente ai margini di un sistema dominante oppressivo e fondato sulla proprietà e lo sfruttamento e la proprietà dei corpi e delle risorse. Anche quando all’interno dei rifugi riusciremo a rimuovere queste maledette marche auricolari e sostituirle con altri sistemi di identificazione che abbiano minor impatto sui loro corpi, non avremo purtroppo ancora sciolto il nodo più doloroso: l’appartenenza delle relativamente poche individualità “libere” che abitano i rifugi a determinate specie considerate e classificate come “da reddito” e quindi legittimamente e sistematicamente oppresse, utilizzate e sfruttate dall’industria zootecnica.

E questo ci riporta ad un’altra narrazione cruciale di cui continueremo a farci cassa di risonanza. Nei santuari gli animali non sono più numeri, ma individui. Li chiamiamo per nome ed impariamo a conoscere le loro storie e personalità uniche. Ma per ognuno degli animali che varcano i nostri cancelli trovando rifugio permanente, migliaia di loro simili sono ancora detenuti dentro allevamenti, mezzi di trasporto e macelli, imprigionati nelle fitte maglie di un sistema politico, economico e culturale specista.

La nostra missione è mostrare che la vera identità di questi animali è molto distante da quella propagandata dall’industria e dalla pubblicità, e che essa non coincide con la funzione produttiva che il sistema assegna loro trasformandoli in numeri.

Grazie a tanti contenuti di inchiesta, informazione ed approfondimento abbiamo imparato a conoscere la crudeltà degli allevamenti e il loro impatto insostenibile, non solo sulla vita degli animali coinvolti – oltre che sull’intero pianeta, sulla salute dell’ambiente, del clima e degli esseri umani -.  Ma sappiamo ancora poco e abbiamo poca esperienza e conoscenza di come potrebbero vivere liberi, questi animali. 

In questo senso santuari ed i loro abitanti ci accompagnano alla scoperta di un punto di vista nuovo sulla realtà che ci circonda ricco di connessioni positive da ristabilire e proteggere: in uno scenario generale devastante e spesso scoraggiante, questi luoghi sanno restituirci la bellezza e  l’importanza di credere in un cambiamento verso un mondo più giusto, equo e sostenibile. Alcuni di essi, in Italia ma non solo, sono addirittura nati e continuano a nascere proprio dalla riconversione di attività precedentemente fondate sull’utilizzo e sfruttamento animale come è stato anche per Capra Libera Tutti. 

I rifugi sono dunque simboli di speranza e contenitori di storie eccezionali e positive, ma non solo.

I corpi degli animali che accogliamo, frutto di selezioni genetiche portate avanti dall’industria zootecnica per massimizzare i profitti e la resa, portano in alcuni casi dei segni indelebili e dolorosi che testimoniano e denunciano tutto ciò che accade all’interno degli allevamenti da dove provengono e dove tanti, troppi loro simili sono ancora rinchiusi. 

Rifugi e santuari sono luoghi di cura ed assistenza dove ogni giorno ci confrontiamo con il lato più oscuro della nostra missione: traumi psicologici e fisici il cui soccorso richiede tempo, attenzione, dedizione, competenze veterinarie specifiche ed innovative – che mancano quasi del tutto in riferimento ad animali che comunemente, al di fuori dei rifugi, non vengono curati – e risorse economiche che non possono neanche lontanamente competere con i fiumi di sussidi e sovvenzioni costantemente elargiti al comparto zootecnico a livello nazionale ed europeo…

Il presente con cui dobbiamo confrontarci e gli scenari futuri che si prospettano non sono certo confortanti : ci auguriamo perciò che questo tanto atteso e “propedeutico” riconoscimento giuridico, che ci rende oggi finalmente visibili e legittimati nella nostra missione e funzione trasformativa, permetta ai rifugi permanenti di inserirsi con maggior visibilità e forza nel dibattito pubblico ed instaurare nuove relazioni trasformative con i luoghi di formazione e decisione.  

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